n. 21/2015
Sradicare la povertà assoluta e la fame. Alle radici degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio

Nella Dichiarazione del Millennio del 2000, così come negli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, quello di sradicare la povertà assoluta e la fame è collocato al primo posto tra gli otto impegni strategici assunti dalla comunità internazionale per il 2015; a testimonianza del ruolo fondamentale riconosciutogli in funzione di tutti gli altri. Essi, com’è ben noto, vanno al di là della pure importante prospettiva economica tipica dei processi di crescita, per focalizzarsi direttamente e specificamente sulle dimensioni proprie dello sviluppo umano, quali salute, istruzione, uguaglianza di genere, empowerment delle donne.
Ora che il 2015 è arrivato qual è il bilancio. Dopo un avvio lento, si è intensificata pro¬gressivamente l’azione, conseguendo risultati significativi, ma non riducendo di un terzo la fame nel mondo come deciso. A livello globale, il numero complessivo delle persone denutrite si attesta sui 795 milioni: ben 216 milioni in meno rispetto al biennio 1990-92. Si infrange così la soglia degli 800 milioni dal valore altamente simbolico; ma resta ancora molto alta perché si abbia“fame zero” per tutti. In effetti, gli obiettivi fissati a inizio millennio dall’Onu sono stati raggiunti “solo” in 72 dei 129 Paesi monitorati e se in 29 di questi il traguardo raggiunto è ancora più ambizioso, dimezzandosi il numero totale delle persone denutrite, negli altri 57 il loro peso permane elevato; soprattutto nell’Africa sub-sahariana, dove resta denutrito il 23,3 per cento della popolazione.
Oggi che l’orizzonte strategico si sposta in avanti guardando al 2030, si giustifica quindi pienamente che si mantenga sempre al primo posto l’obiettivo che era tale già nel 2000.
Per conseguirlo, peraltro, si può contare sull’esperienza acquisita valutando con attenzione i progressi più rapidi fatti in Asia orientale ed i brillanti risultati dell’America Latina e dei Caraibi, dove la percentuale di chi soffre la fame è scesa dal 14,7 al 5,5 per cento, nonché il caso del Nord Africa prossimo a debellare le forme più gravi di insicurezza alimentare, con riduzione della denutrizione al di sotto del 5 per cento. Ma si devono valutare altresì i nuovi motivi di preoccupazione derivanti oltre che dalla quantità, anche dalla qualità del cibo e, paradossalmente, dal sovrappeso e dall’obesità in aumento.
Si deve considerare, soprattutto il mutamento di prospettiva indotto dalla consapevolezza dagli impatti negativi causati dal degrado ambientale e dai cambiamenti climatici, esaltati dal perverso intreccio con la molteplicità dei conflitti e delle instabilità politiche, sociali ed economiche. Impatti dalle ricadute più pesanti proprio nei sistemi più deboli, più “fragili”. Come sono appunto i Paesi in via di sviluppo, nei quali la capacità di promuovere appropriati investimenti nel settore primario (secondo i canoni della green economy) per una crescita equilibrata rappresenta la nuova sfida della cooperazione internazionale.

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Data ultimo aggiornamento: 14 novembre 2019